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La chiamata del dialogo interreligioso

Da quando sono atterrata in Mongolia, Paese in cui la Chiesa cattolica è un piccolissimo gregge, la realtà del dialogo interreligioso sta assumendo per me, sempre più concretezza. Con papa Paolo VI e il Concilio Vaticano II il dialogo interreligioso ha ricevuto una forte spinta e ha assunto un posto speciale nel cuore della Chiesa. Ma che cosa è questo dialogo?

Dio Trinità è, nella sua identità più profonda, dialogo vivo e vivificante di Amore che nella sua sovrabbondanza si riversa sull’umanità e la coinvolge, così come ci rivela il mistero dell’Incarnazione del Figlio. Per questo possiamo pensare al dialogo come ad una chiamata che deve diventare un atto d’amore al servizio della fraternità. È un’esperienza che va desiderata, cercata, per la quale va creato lo spazio fecondo perché questo incontro possa accadere. Certo il primo contatto con l’altro, diverso da me, spaventa sempre un pò e chiede di affrontare una certa dimensione di rischio. Ci si può chiedere: Come farò? Da dove incomincio? E se non ci capiamo? Dovrò rinunciare alla mia propria identità nel dialogo?

Il Dialogo Interreligioso è prezioso e delicato, richiede un atteggiamento di ascolto, di stima e di rispetto, un’apertura a dare e ricevere, in una relazione che coinvolga tutto l’essere della persona.

Questo implica coraggio, responsabilità, interdipendenza e umiltà. Nel vero dialogo i due dialoganti crescono insieme, camminano insieme e si arricchiscono venendo rinsaldati nella propria profonda identità, ma allo stesso tempo aprendo il cuore ad una concreta fraternità. Tutto questo con la fiducia che mentre si inizia a camminare, la via appare.

Mons. Pietro Rossano diceva che il dialogo non avviene tra le diverse religioni, ma tra persone che professano diverse religioni. Questo ci dà già un’indicazione preziosa: la persona va messa al centro.

Passo dopo passo si costruiscono relazioni significative con i membri delle altre religioni in un dialogo di vita, di esperienze spirituali, in uno scambio teologico e in una “complicità nella carità”, perché possano crescere la dignità umana e le ricchezze spirituali e morali delle persone e perché, insieme, si cerchi di promuovere un concreto impegno per la pace, la custodia del creato, la libertà, lo sviluppo dei valori, la cura per i più piccoli.

Recentemente ho avuto il dono di prendere parte al Settimo Colloquium Buddista-Cristiano (13-16 novembre), promosso dal Dicastero per il Dialogo interreligioso in collaborazione con la conferenza episcopale thailandese, diverse istituzioni buddiste e l’università buddista Mahachulalongkornrajavidyalaya. L’incontro, tenutosi a Bangkok, aveva come tema Karuṇā e Agape in dialogo per la guarigione di un’umanità e di una terra ferite e ha visto la partecipazione di buddisti e cristiani da Cambogia, Hong Kong, India, Giappone, Malesia, Mongolia, Myanmar, Singapore, Sri Lanka, Corea del Sud, Thailandia, Taiwan, Regno Unito.

Sono stati giorni intensi di ascolto, incontro, riflessione e condivisione sull’amore e la compassione come strumenti per guarire l’umanità e la terra ferite. Mi porto dietro la bellezza delle relazioni e dei momenti di condivisione ( anche informali), la profondità delle riflessioni condivise e la speranza che un cammino comune nel bene sia possibile e possa farsi segno luminoso ed eloquente per il nostro mondo segnato dalla violenza e dal rifiuto dell’altro.

Come suora missionaria della Consolata in Mongolia mi sono sentita incoraggiata a muovere passi in questa direzione, a muovermi alla ricerca dell’altro, ad appassionarmi a conoscere e studiare le diverse realtà con cui vengo a contatto, sognando il dialogo che diventa mano tesa, concreto bene per tutti, crescendo nell’ascolto del grido dell’umanità e nell’avere un cuore capace di vera fraternità.

 

Sr. Francesca Allasia

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