In questi giorni ricordiamo e annunciamo la risurrezione di Gesù. E inevitabilmente proviamo a immaginarla, a fantasticare su che cosa potrebbe accadere nella nuova vita che ci è promessa. Certo, sono i vangeli a parlarne, e sembrerebbe preferibile guardare a loro per capirci qualcosa. Anche se…

Testimonianze incoerenti

Una prima sorpresa, a leggere i vangeli, è notare quante ricostruzioni diverse ci offrano. Ad esempio, a scoprire la tomba vuota sono due donne (Mt 28,1), tre (Lc 24,10 e Mc 16,1, ma i nomi non coincidono) o la sola Maria Maddalena (Gv 20,1)? E al sepolcro trovano un giovane (Mc 16,5), un angelo (Mt 28,2), due uomini in vesti sfolgoranti (Lc 24,4) o nessuno, come in Giovanni (più tardi però compaiono due angeli: 20,12? Per non parlare di quello che accade dopo: per Matteo Gesù appare prima alle donne (28,8-10) e poi ai discepoli (28,16-20), per Luca a due discepoli in viaggio verso Emmaus (24,13-34) e poi agli apostoli (24,36-43), per Giovanni dapprima a Maria Maddalena (20,11-18), poi, in due volte successive, nel cenacolo agli apostoli (20,18-29) e quindi ancora sul lago (capitolo 21). Marco, poi, ci dice addirittura che le due donne che trovano la tomba vuota se ne vanno spaventate senza dire niente a nessuno (16,7-8)!

Una prima osservazione sembrerebbe chiara: i quattro evangelisti non si sono messi d’accordo. A essere più attenti, però, sappiamo che per lo più almeno tre degli evangelisti raccontano le vicende in modo tanto simile da farci intuire che qualcuno di loro potrebbe aver copiato l’opera altrui. Almeno in questo caso, perché non copiare ciò che c’era scritto?

A rileggere più volte questi racconti, però, viene il sospetto che anche in questa estrema incoerenza gli evangelisti vogliano dirci qualcosa. In fondo, non è quello che fa Luca nella sua unica opera (il vangelo e gli Atti degli Apostoli sono stati pensati insieme, come un libro solo)? Troviamo infatti Gesù che ascende al cielo il giorno stesso di Pasqua (Lc 24,51) ma anche quaranta giorni dopo (At 1,9). Evidentemente Luca voleva suggerire qualcosa al lettore, e precisamente che non importava tanto la data dell’uscita di Gesù da questo mondo, ma il fatto che ormai non potesse più essere incontrato, anche se è il Vivente.

Che cosa vorrebbero allora dirci i quattro vangeli sulla risurrezione? Quali costanti troviamo?

La tomba vuota

Un elemento unisce tutti i vangeli: la tomba è vuota. Anzi, è un punto di partenza che è condiviso anche dai nemici di Gesù e dei cristiani, tanto da invitare le guardie a testimoniare il falso ma senza contestare che il cadavere di Gesù non sia più lì (Mt 28,11-15). D’altronde, nello stesso vangelo di Matteo troviamo i discepoli che, seppure davanti a Gesù risorto, dubitano (28,17).

È un primo aspetto: nella risurrezione di Gesù, nella risposta che il Padre dà alla croce, c’è qualcosa di oggettivo, di toccabile. Ma nello stesso tempo, questo non ne dice ancora il senso. La tomba è vuota, è vero: ma è vuota perché Gesù è risorto o perché il suo cadavere è stato rubato?

Anche per il cristiano oggi, ci sono dei contesti “oggettivi” in cui possiamo cogliere che Dio in qualche modo si offre, ma dobbiamo essere noi a interpretarli, potremmo ritenerli semplicemente un inganno o una coincidenza.

La risposta del Padre

E se il credente può lasciarsi sfiorare dalla possibilità che la tomba sia vuota perché Gesù è vivo, questo significa che Dio non ha visto in lui nulla di blasfemo. Nel Nuovo Testamento sono due le formule utilizzate: a volte si dice che Gesù è risuscitato, come nessun uomo può fare, il che lascia intendere che Gesù non sia soltanto un uomo; altre volte si afferma invece che Gesù è stato risuscitato dal Padre, il quale così facendo testimonia che le pretese di Gesù di essere colui che conosce Dio meglio di tutti non erano pretese da pazzo o da bestemmiatore, ma erano fondate.

Insomma, la risurrezione dice che Gesù aveva ragione e che si può credere a tutto ciò che, in parole ed opere, aveva fatto conoscere su Dio durante la sua vita.

Ma la risurrezione dice su Dio anche un’altra cosa. Durante la passione il Padre aveva taciuto, aveva lasciato che gli uomini si esprimessero facendo a suo Figlio ciò che volevano. Quando però suo Figlio è morto, sepolto e la tomba è stata sigillata (Mt 27,66), quando la storia ha finito di parlare, può finalmente parlare Dio. E ciò che Dio dice è vita, vita piena in un corpo che non patisce più i condizionamenti della malattia, della morte e del limite.

Come riconoscerlo?

Un’altra caratteristica che ritroviamo in tutti i vangeli è però anche la fatica di riconoscere Gesù. Maria Maddalena (Gv 20,14-15), i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-16), persino i discepoli (Gv 21,4) lo vedono ma non lo riconoscono. Come abbiamo già detto, l’elemento oggettivo, “storico”, deve essere interpretato, bisogna mettersi in gioco.

Quando però Gesù cerca di farsi riconoscere, e persino quando viene “identificato” dagli angeli alla tomba vuota, viene presentato come il crocifisso. Se noi avessimo dovuto farci riconoscere da qualcuno che non vediamo da tempo, avremmo probabilmente ricordato avvenimenti vissuti insieme a coloro da cui volevamo farci riconoscere. Gesù, e gli angeli, rimandano invece alla croce. Se voglio conoscere il Gesù risorto, glorioso, devo guardare il Gesù che muore soffrendo, il Gesù che mostra l’amore di Dio fino in fondo. Se voglio intuire la gloria divina, devo guardare l’abisso dell’umiliazione e della sofferenza umana. Dio non si è solo incarnato una volta, continua a essere coinvolto nella storia umana: il volto del risorto è il crocifisso.

Anche quando Luca, nell’episodio dei discepoli di Emmaus, suggerisce che per riconoscere Gesù, oltre a scoprirlo nella legge e nei profeti, occorre vederlo spezzare il pane, ossia nell’eucaristia, non dice qualcosa di diverso: l’eucaristia è il memoriale di Gesù che si offre per noi, il pane e il vino diventano corpo e sangue, si rimanda sempre alla concretezza della croce.

Che cosa fa il risorto?

Immaginiamoci al posto di Gesù. Le autorità religiose ci hanno condannati a morte ingiustamente e i nostri amici sono scappati. Risorgiamo: che cosa facciamo? Probabilmente ci verrebbe da andare al sinedrio, a mostrarci vivi e vincitori, per far loro capire, mortificandoli un po’, che si erano sbagliati; e poi andremmo forse a ricordare a Pietro e ai discepoli quello che avevano giurato («Non ti rinnegheremo mai!») solo poche ore prima.

E invece no. Gesù va dai suoi, solo dai suoi, e si presenta dicendo «Pace a voi» (Lc 24,36; Gv 20,19-21) o «Non temete» (Mt 28,5.10). Gesù risorto riallaccia i rapporti umani, si dedica principalmente a questo. La vita piena, lascia intendere Gesù, è innanzi tutto vivere in armonia e pace le relazioni umane. 

Ci capita sicuramente di immaginare che cosa potrebbe essere la nostra risurrezione. Ebbene, ascoltando il vangelo intuiamo almeno che a risorgere saremo noi, con il nostro corpo, la nostra storia e la nostra identità, ma anche che ci ritroveremo innanzi tutto con le persone che nella nostra vita sono state significative… e anche dopo, sarà una vita di relazioni umane piene e senza fraintendimenti.

Angelo Fracchia