Dai Diari di Suor Gemma Ida Valagussa, Missionaria della Consolata in Tanzania
Passavo le mie giornate sempre in ambulatorio curando ammalati, nelle loro svariate forme di malattia e seminando la parola di Dio nei cuori dei pazienti e parenti ogni qualvolta mi si presentava l’occasione, ma il sabato pomeriggio era libero ed allora sovente ne approfittavo per andare al villaggio di Ipogolo per il mandeleo, insegnare cucire, fare la maglia, anche solo per incontrarmi con il gruppo della ragazze, ecc. ecc.
Qualche volta andavo con un mezzo di trasporto, ma sovente andavo a piedi, pensando alla giornaliera delle nostre prime sorelle che camminavano una gionrata intera, così avevo occasione di parlare con la gente lungo tutto il cammino, a 5 km, e scambiare qualche parola con essa, che contenta con l’incontro delle suore, le mamme specialmente, scambiavano volentieri qualche parola raccontando anche i loro crucci, le loro difficoltà – chiedendo poi consigli e preghiere.
Terminato il mio compito, ritornavo a casa attraversando i campi, la steppa dove sorgeva qua e là qualche casetta di fango e paglia. Un sabato pomeriggio, nel ritorno, mi imbattei sul limite di un campo da gioco, era poi un campo dove i contadini avevano sradicato le erbacce, con un ragazzo di circa 13 anni seduto per terra, addolorato, perché giocando al pallone fatto di carta e stracci, legato con corde, si era ferito all’alluce del piede.
Salutai, mi inginocchiai per terra e tolto dalla borsa un po’ di materiale sanitario medicai quella ferita. Il ragazzo non alzò mai la testa, non mi disse grazie, ma guardandomi con un sguardo tra il confuso e il meravigliato, mi disse:
“Chi sei tu, dimmi, chi sei tu che ti sei inginocchiata per terra per medicarmi? Ancora con tanto amore?”
Veramente io rimasi esterrefatta – era uno cosa tanto naturale per un’infermiera medicare una ferita, e allora risposi con tanta naturalezza che ero la suora infermiera di Msinda (si chiama così la regione, o meglio la missione), la suora che cura gli ammalati. E lui di ritorno: “No, tu non sei solo la suora di Msinda, tu sei la persona di Dio, perché solo le persone di Dio fanno quello che hai fatto a me”.
Salutai in fretta quel ragazzo e fuggii, sì, correvo quei campo, fra le coltivazioni di granoturco, confusa e vergognata per tanta stima di quel ragazzo, dopo di avere fatto nè più, nè meno il mio dovere come cristiana, come infermiera, come religiosa e come missionaria.
La mia mente durante il ritorno e anche più oltre andava ripetendo: “Tu sei la persona di Dio”. Sì, solo per Sua grazia e amore sono venuta fra questi miei fratelli a portare il messaggio di amore, non tanto con le parole, ma con le opere di bene, dimenticando me stessa per aiutare il prossimo. “Ciò avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me” ha detto Gesù.
Ti prego Signore, aiutami a non deluderti.