Hai già sentito parlare di Mombasa, in Kenya? Forse tu o qualche amico ci è stato in vacanza, sulle sue famose spiagge in riva all’oceano. Perché Mombasa è la seconda città più grande del Kenya, ma soprattutto è una specie di isola separata due piccoli fiumi, che la dividono dal resto del continente africano. In Mombasa le Missionarie della Consolata hanno una comunità, che porta avanti un ambulatorio e una scuola materna. Da quasi un anno ci sono anch’io, Suor Mourine. Ho fatto la Prima Professione nel Marzo 2024 e poi sono stata destinata qui, in questa città dal clima caldo e umido. Oggi vorrei condividervi l’incontro che ho avuto con alcuni giovani in Parrocchia. Si avvicinava la festa Santa Josephina Bakhita, e i ragazzi hanno deciso di prepararsi con alcun incontri sulla loro Santa Patrona. Ho chiesto loro cosa sapevano su Bakhita. Sorprendentemente, alcuni sapevano poco, vagamente avevano sentito che prima di essere suora, era una schiava. Uno persino pensava che Bakhita era un uomo. Mi sono sentita stringere il cuore: mi sentivo come davanti a un gregge senza pastore. Manca ai giovani quella vicinanza così importante, uno spazio dove possano chiedere, domandare, trovare una risposta. Senza timore. E anche stare insieme e crescere insieme. Sapevano poco o niente di Bakhita, “ma come fanno a sapere, se nessuno glielo dice?” direbbe con decisione San Paolo. Ho ascoltato un grido lanciato dai giovani; dicono che la gente attorno non li capisce e la vita ha tante sfide. Vogliono essere ascoltati. Ma c’è anche una sete di Dio. Se qualcuno sparisce, e non lo vediamo più bazzicare negli ambienti della Parrocchia, è meglio chiedere a qualcuno, o cercarlo: c’è tanto bisogno di vicinanza! E di sentir parlare bene delle persone. Con questa condivisione a cuore aperto, sono tornata a casa con lo zaino colmo di tante, tante cose: questo incontro mi ha dato gioia e gratitudine. Mi ha spinto a prepararmi, a fare una ricerca sulla vita di Santa Bakhita, per poter arricchire questi giorni. Ed è stata una ricchezza anche per me. Abbiamo condiviso, in reciprocità: abbiamo ricevuto tutti qualcosa. Della vita di Santa Bakhita, sono emersi elementi molto importanti, che hanno toccato in profondità il nostro cuore: primo, vedere le cose con gli occhi di Dio. Nonostante la vita difficile e la schiavitù, Bakhita va oltre. Perdona. Si inginocchierebbe davanti ai suoi aguzzini, ha detto un giorno. Secondo: la sofferenza trasforma la persona, le grazie non mancano. Ma la speranza trasforma e dà vita. Le sofferenze di Bakhita hanno dato frutto, trasformando la sua vita. Le sofferenze non ci lasciano uguali, ma possiamo cambiare per il positivo, migliorando. Cosa possiamo imparare dalla Santa? La gratitudine, la semplicità, l’essere discepola, trovare la propria identità nel Signore, il perdono. Terminati i tre giorni di riflessione e preghiera, alla domenica c’erano tanti giovani nella Messa. Abbiamo ripreso il cammino realizzato nei giorni precedenti. I giovani si sono sentiti amati e accompagnati. Che ci sia lo zampino di Santa Bakhita? Nel mio cuore continua a echeggiare il grido lanciato dai giovani. E voglio continuare a rimanere in dialogo con questo grido. Suor Mourine, mc
Scienza, Fede e Cultura: Dialoghi intorno al focolare tra i Macua Xirima
Anche questa sera la nonna accende il fuoco, colloca la pentola per la polenta (xima) sopra le pietre del focolare. Mentra aspetta che l’acqua si scaldi, la pentola sente le tre pietre del focolare che conversano tra loro piacevolmente. Lei gia conosce i loro nomi: una si chiama Scienza, la seconda Fede e la terza Cultura. Di solito è la pentola che sceglie il tema della conversazione. Questa sera la pentola ha proposto di conversare sul banano. È Scienza, la pietra che per prima prende la parola, perché lei conosce e pretende conoscere tutto di tutto. Subito comincia con solennità e sapienza: “Tra gli scienziati si afferma che da 2000 anni la banana è la dieta base in Africa. Le sue proprietà nutrizionali non sono poche: è un’eccellente fonte energetica, superata solo dalla mandioca in valori di calorie, è da due a tre volte più produttiva dei cereali; ottima fonte di potassio e di vitamina C, povera di ferro e calcio e praticamente priva di proteine e di grassi. È relativamente facile la sua coltivazione, poiché è pianta di produzione perenne; dai suoi rizomi spuntano due fusti che in un tempo tra i 10 e i 18 mesi producono un grappolo di banane. In Africa si conoscono circa 60 varietà di banani, non esistono in nessun altro luogo all’infuori dell’Africa: è il maggior agglomerato per la diversificazione tra le piante di banano nel mondo, prodotta grazie ad una attenta selezione dell’uomo. Queste sono partenocarpiche, cioè la produzione del frutto avviene a partire dai fiori femminili senza previa fecondazione. Per il fatto di non avere semi, l’energia è tutta incanalata alla massa dello stesso frutto che lo rende molto gustoso come fonte di alimento; senza semi il banano domestico si può riprodure con mezzi vegetativi, il rizoma/radice principale emette germogli cha maturano a misura che il fusto madre muore dopo aver prodotto i frutti. Tra i biologi si discute circa la ‘culla’ originaria del banano: Asia o Africa? Gli Asiatici propongono l’Asia, ma gli Africani asseriscono che è l’Africa, dato che la diversità di varietà africane supera quelle dell’Asia, come lo testimonia la molteplicità di termini per indicare le varietà e le parti costitutive di questa pianta. Infine i progenitori selvatici del banano non esistono solo in Asia, ma anche in Africa: sono Makokopwiho e Manyipiri che producono semi. Soddisfatta e orgogliosa, la pietra Scienza conclude la sua spiegazione dicendo: “Mie care colleghe, Fede e Cultura, qui vi ho comunicato tutto quanto si conosce riguardo al banano; sì potete essere certe che non ho dimenticato nulla, sono cosciente di aver esaurito il tema in tutte le sue componenti. Dovete sapere che la scienza non scherza: investiga e analizza tutto, e arriva infine a risultati definitivi e indiscutibili: non vi sembrano esaurienti? Sono certa che le mie due colleghe non hanno nulla da aggiungere alla mia relazione”. Irritate per l’arroganza e la superbia della pietra Scienza, le altre due cominciarono ad agitarsi fino a mettere in pericolo la stabilità della pentola che subito intervenne dicendo:” Mie signore, state attente, altrimenti mi catapultate!”. Ristabilito l’equilibrio della pentola, la pietra Fede chiede la parola:” Mia collega Scienza, complimenti per gli innumerevoli dati scientifici che ci ha condiviso, ma lei si è limitata a presentare dati e constatazioni mescolati a dubbi e opinioni che hanno il valore e la consistenza del vento. Soprattutto lei non ha nemmeno sognato di indicare la causa genetica, o l’architetto creatore che ideò il banano. Ora, lei Scienza, sa molto bene che nel campo scientifico tutto avviene per applicazione della legge di causalità: se non piove, (causa), non germina nulla (effetto); così, se non si semina, non si miete nulla, ecc. Lei perciò ha dimenticato l’altra faccia della medaglia del banano, limitandosi a presentarci la sua parte visibile, superficiale, orizzontale, ma l’altra, invisibile, profonda e verticale com’è? Chi è? Perché sarà che il banano è partenocarpico, si riproduce cioè, senza fecondazione? Certamente non si fece da sé in questo modo, ma ci fu Qualcuno che lo fece tale, avendo presente il modello sognato e realizzandolo. Esaminiamo bene questo punto. Veramente, il banano madre è partenocarpico, riproduce solo cloni identici a se stesso, germogli con il medesimo materiale genetico senza perdita di vigore né ricombinazione del codice gentico; da solo può generare tutto e sempre, è ‘eterno’, perenne, anzi, onnipotente. Qui entra in gioco la mia scienza teologica, la mia fede in Dio generatore di tutto e di tutti. In parole semplici e immediate, vedo che il banano è immagine visibile di Qualcuno invisibile e immenso che può essere solo Dio. Giustamente i nostri antenati Macua Xirima spiegano questo punto invisibile affermando che Dio è come il banano: Dio è madre, è matriarca che dal monte Namuli generò e continua generare tutto e tutti con le sue uniche ed esclusive energie genetiche senza intervento di agenti esterni. Muluku enká: enayaraxa sopattuxiwa sothene mekhayaru. Dio è come il banano: genera senza intervento di agenti esterni Muluku kahiyene elupa, mene enká: enèttaka ni anamwan’awe. Dio non è un macaco solitario, ma un banano che cammina sempre con i figli. In sintesi, il banano è il tipo/timbro del prototipo che è Dio, suo generatore, e Dio è prototipo, è causa del tipo che è il banano. Collega Scienza, mi sta seguendo? Il banano è una fotografia del fotografo, è il vaso nelle mani della vasaia. Sia la fotografia o il vaso come il fotografo o la vasaia sono inseparabili come gemelli, anzi affermo che il fotografo e la vasaia devono essere menzionati per primi. Lei si è innamorata della fotografia dimenticandosi completamente del fotografo, ha parlato solo della pentola e nulla ha detto di chi la fece. Una conoscenza completa esige menzionare l’effetto e la rispettiva causa”. La pietra Scienza rispose: “È vero, la collega Fede evidenzia un aspetto che io avevo completamente dimenticato, poiché il metodo scientifico guarda principalmente a quello che si vede e si sperimenta in superficie, non va oltre, al più profondo o al pù alto. Ora vedo che per
Il Padre Nostro
È la preghiera più nota del cristianesimo, anche perché è l’unica che è stata insegnata direttamente da Gesù proprio quando i suoi discepoli gli chiesero che insegnasse loro a pregare. Eppure, recitata tanto spesso da tanti credenti lungo i secoli, si rischia di saperla senza ascoltarla. Tanto più che utilizza formule che per noi potrebbero suonare non del tutto comprensibili. Restano però parole tanto centrali che nei vangeli sono addirittura riportate due volte, da Matteo e da Luca, benché in due forme non del tutto identiche (la versione di Luca è più breve). Padre nostro Nel Primo Testamento non era frequente chiamare Dio “Padre”. È una formula attestata, ma rara. Probabilmente non piaceva troppo perché rischia di accentuare la relazione personale, l’intimità, la familiarità, perdendo in solennità, rispetto e distanza. Evidentemente, però, Gesù invita davvero a perdere l’idea di un Dio lontano, onnipotente, assiso nei cieli, per recuperare chi, certo, ci è superiore, ma in un rapporto quotidiano e diretto, delicato e di cura. Fin dall’inizio, non vuole suggerire l’idea di un Signore da temere, ma piuttosto da amare. E poi viene definito “nostro”. Il rapporto con Dio è personale e diretto, ma non è esclusivo, non taglia fuori gli altri, anzi li coinvolge nel rapporto. Siamo fratelli perché ci riconosciamo come figli dello stesso Padre. E, in più, a essere Figlio è anche Gesù stesso, che sembra mettersi intenzionalmente allo stesso livello nostro, al nostro fianco. Già dalle prime due parole qualunque idea di netta distinzione tra il divino e l’umano viene superata: Dio è nostro padre, noi siamo tutti fratelli, e fratello nostro è anche Gesù. Sia santificato il tuo nome Il nome è ciò che ci identifica, al punto da poter costituire la nostra stessa personalità. Il mio nome sono io. Ma che cosa può voler dire “santificare”? Per noi sembra essere riconoscere di avere davanti qualcuno di eccezionale, straordinario, eroico. Ma qui iniziamo a percepire che nelle formule e nelle parole c’è un certo tono ebraico. Per la lingua ebraica “santificare” significa “mettere da parte”, “riservare”. Un po’ come quando entriamo in un supermercato, ci proviamo dei vestiti o scegliamo della pasta e li mettiamo nel carrello. Tecnicamente non sono ancora nostri, eppure sono già messi lì da parte per noi, e se ce li prendessero dal carrello non sarebbe un furto, ma ci offenderemmo. E come si fa a “riservare”, a “mettere da parte” il nome, cioè la persona? Riconoscendole il suo valore, la sua autentica natura. Il valore di un atleta non lo si riconosce esaltandolo, esagerandone le lodi, ma narrando le sue imprese vere e gloriose. Allo stesso modo, santificare il nome di Dio significa raccontare chi è davvero, che cosa ha fatto, come è, per riconoscerne il volto autentico. Venga il tuo regno il mondo del tempo di Gesù era abituato soprattutto alle monarchie, quasi sempre senza regole che non fossero decise dal re. A quel punto il regno era semplicemente composto a immagine del re. Invocare l’arrivo del regno di Dio significava sperare che il mondo si conformasse al desiderio di Dio, per una vita piena di tutti gli esseri umani. È quindi la stessa cosa che invocare che sia fatta la volontà del Padre. Dacci oggi il nostro pane quotidiano La prima richiesta, peraltro, è molto concreta, si chiede il “pane”. Per una volta, i sottintesi ebraici antichi e quelli della lingua italiana coincidono. Anche l’italiano, infatti, sembra concentrare il cibo sul pane, al punto che noi abbiamo una parola (“companatico”) per indicare qualunque altro cibo che non sia pane, e che si suppone lo accompagni. Con “pane”, quindi, si indica ogni tipo di cibo, anzi di nutrimento, in quanto possiamo comprendere in quella richiesta anche tutto ciò che ci serve per vivere, non solo l’alimento per lo stomaco. È l’ammissione che abbiamo bisogno, che non siamo autosufficienti, e che abbiamo l’umiltà di riconoscere questo nostro bisogno davanti al Padre, nella convinzione che aiuterà l’umanità a nutrirsi. Il pane, poi, è accompagnato da un aggettivo che ha fatto disperare i traduttori fin dall’antichità. Le traduzioni sono infatti state molte e varie, ma sembra proprio che il senso più rilevante sia quello del “giorno dopo giorno”, che il nostro odierno “quotidiano” restituisce abbastanza bene. L’idea è insieme presuntuosa e umile. È la richiesta di un pane che non sia limitato soltanto all’oggi, ma si rinnovi poi domani, e dopodomani… Ma è, nello stesso tempo, la domanda non di una consegna abbondante e generosa una volta per tutte, che si possa mettere da parte in dispensa, bensì di un pane che arrivi giorno dopo giorno. È, se vogliamo, una richiesta infantile, che si accontenta del pane per oggi, anche però nella fiducia che domani potrò chiederlo e ottenerlo di nuovo. È la “presuntuosa” fiducia del bambino che sa di essere amato, che in fondo dà questo amore addirittura per scontato, che sa che il pane di domani potrà tornare a chiederlo domani. Ed è anche l’umiltà di chi riconosce che il cibo di oggi non mi basterà domani, che avrò bisogno di nutrirmi ancora e di nuovo. Di pane per lo stomaco, ma anche per lo spirito e l’anima… Rimetti i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori L’altra richiesta guarda invece alle relazioni umane, viste come uno scambio in cui si può essere in debito. E la richiesta sembra, di nuovo, quasi superficiale o presuntuosa: «Rimetti i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori». Davvero siamo in grado di perdonare nella stessa misura con cui chiediamo il perdono? In questa impostazione che, se vogliamo, suona ingenua o presuntuosa, in realtà non dobbiamo cogliere né l’ordine né la proporzione. Ossia, non si dice che prima devi guardare, o Padre, come o quanto perdoniamo e quindi comportarti di conseguenza e con la stessa intensità. Piuttosto, si dice che entriamo in una dinamica di perdono generalizzato. Non è la logica del contabile, è piuttosto quello dell’amico o dell’innamorato, dove non conta più chi dà di più, quanto il fatto
La prima festa di San Giuseppe Allamano
“Una festa che tocca il nostro cuore” così è stata definita da Madre Lucia Bortolomasi, Superiora generale delle Missionarie della Consolata, la celebrazione della prima festa di San Giuseppe Allamano dopo la sua canonizzazione. La celebrazione si è svolta la mattina del 16 febbraio 2025 nella Chiesa e Santuario a lui dedicato nella Casa Madre dei Missionari della Consolata. Una celebrazione di famiglia tra missionari e missionarie, laici, amici, benefattori e fedeli che ogni domenica partecipano alla messa in questa chiesa. Presenti le due Direzioni generali, missionari e missionarie delle comunità di Torino e dintorni, i giovani in formazione e le novizie che hanno animato con canti in più lingue la celebrazione. La Messa è stata presieduta da Padre James Lengarin, Superiore generale dei Missionari della Consolata che nella sua omelia ci ha portati a guardare alla Parola annunciata da Gesù nella Sinagoga di Nazareth come Parola che si fa viva ed azione nella sua vita, ministero e missione. Una Parola che diventa vicinanza e attenzione a tutti ed in particolare ai più poveri e dimenticati. In questa Parola vi leggiamo anche l’invito per ogni missionario e missionaria nel vivere la nostra vocazione specifica alla missione nel segno della consolazione. Così è stata la vita di San Giuseppe Allamano, vissuta nella tensione costante alla santità che lui ha raggiunto nel compimento quotidiano del suo dovere, nel fare in modo straordinario le cose ordinarie e sempre con un profondo spirito di umiltà. La celebrazione odierna ha anche voluto avviare il cammino che ci porterà alla celebrazione del centenario della sua nascita in cielo e che celebreremo il 16 febbraio de 2026. Un cammino che vuole coinvolgere tutte e tutti e che sarà segnato da momenti di riflessione che devono innanzitutto trasformare la nostra vita personale e quella delle nostre comunità. Al termine della celebrazione Madre Lucia ha ringraziato per il dono del cuore missionario di San Giuseppe Allamano che invita anche noi a vivere e ad agire, aprendo il nostro cuore per accogliere tutti. Alla celebrazione era anche presente Suor Simona Brambilla, Prefetta per il Dicastero degli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica. Nel suo ringraziamento, partendo dalle parole di Paolo nella lettera ai Tessalonicesi, nella quale dice di essersi fatto amorevole in mezzo a loro, come una madre ha cura dei propri figli, così anche noi, guardando alla vita ed esempio dell’Allamano, siamo chiamati ad avere questa amorevolezza paterna e soprattutto materna verso tutti. Anche Padre Oscar Clavijo, superiore della Casa Madre, ha ringraziato tutti per la bella partecipazione e per la Famiglia della Consolata e dell’Allamano lì riunita in questo giorno di festa. La celebrazione si è conclusa presso la tomba di S. Giuseppe Allamano con la preghiera delle due Direzioni generali insieme a tutti i partecipanti, presentando a lui la vita dei nostri Istituti, le richieste a noi affidate e le realtà dei Paesi nei quali lavoriamo. È seguito poi il pranzo festivo di famiglia con tutti i missionari e le missionarie presenti alla celebrazione, nel refettorio c’è stato posto per tutti e si è così continuata la condivisione e la comunione che rendono vivo quello spirito che l’Allamano tanto desiderava e invitava a vivere nei nostri Istituti. Al Santuario della Consolata Il luogo in cui San Giuseppe Allamano ha vissuto il suo servizio sacerdotale, il luogo che ha abbellito e ingrandito, facendolo diventare un importante centro di devozione mariana, il luogo in cui ha maturato il progetto degli Istituti Missionari, in dialogo e preghiera con la Madonna, è il Santuario della Consolata. La Diocesi di Torino ha voluto ricordare la festa liturgica del nuovo Santo torinese con una celebrazione presieduta dall’arcivescivo, Card. Roberto Repole. Facendo riferimento al Vangelo domenicale sulle Beatitudini secondo il Vangelo di Luca, che rivelano lo sguardo e la presenza di Gesù nelle situazioni anche più dolorose della vita, il Card. Repole ha presentato San Giuseppe Allamano come l’uomo che ha saputo porre la sua fiducia in Dio: il grande sogno missionario dell’Allamano, che si realizza fino ad oggi, nasce dall’intuizione che questo sguardo di Cristo poteva continuare ad essere il nostro sguardo. Ha sentito il fervore della missione perché ha sentito la necessità di tanti uomini e donne di incontrare Cristo, il suo sguardo. Al termine della celebrazione, il Cardinale ha benedetto la nuova pala d’altare dedicata a San Giuseppe Allamano, in cui il Santo sacerdote è attorniato dalle Beate Leonella e Irene, il Can. Camisassa e il Beato Boccardo, suoi collaboratori, e San Giuseppe Cafasso. Nel presentare l’opera, Mons. Giacomo Martinacci, rettore del Santuario della Consolata, ha sottolineato che l’Allamano operò sempre insieme ad altre persone nel suo instancabile lavoro ecclesiale, per questo anche nel quadro votivo è attorniato da tante persone significative. In alto, la Consolata, la “sua” Madonna. E nella parte bassa del dipinto vi è una schiera numerosa di persone di tante culture differenti, a rappresentare i popoli che hanno accolto l’opera missionaria iniziata da San Giuseppe Allamano. Castelnuovo Don Bosco Santuario della Consolata e Casa Madre sono due luoghi importanti nella vita di San Giuseppe Allamano, in cui si è solennizzata la festa liturgica oggi. Ma anche a Castelnuovo Don Bosco, suo paese natale, si è celebrata la ricorrenza, preceduta da un triduo animato dai Missionari e dalle Missionarie della Consolata. I Castelnovesi hanno accolto con gioia e con orgoglio il loro quarto santo, dopo San Giuseppe Cafasso, San Giovanni Bosco e San Domenico Savio. Nella preghiera si è riflettuto sulla santità come chiamata per tutti, anche oggi. Padre Michelangelo Piovano e Suor Stefania Raspo
Novena a San Giuseppe Allamano – nono giorno
9° giorno: sia fatta la tua santa volontà di Dio “Così anche voi, ora siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla” (Gv 16, 22-23). O Padre nostro Dio, San Giuseppe Allamano, ad imitazione del tuo amatissimo Figlio, ha sempre fatto le cose che ti sono gradite (cf. Gv 8,29) e ci insegna che tu “intervieni in tutte le cose anche minime e le governi a nostro bene, chiedendoci di sottometterci cordialmente alle tue amorose disposizioni” (cf. Conf. IMC, II, 341; Conf. MC, II, 447). Mentre riconfermiamo la nostra piena disposizione a compiere cordialmente la tua santa volontà, non dubitiamo di continuare a chiederti, con immutata fiducia, di volerci concedere la grazia di… Con la forza della nostra fede cristiana, ti scongiuriamo perché tutta la famiglia umana possa riconoscere in Cristo l’unico ed universale Salvatore, che vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, nei secoli eterni (cf. Gv 4,42). Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – ottavo giorno
8° giorno: sperare contro ogni speranza “Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di che cosa ci vestiremo? […]. Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno […]Non affannatevi dunque per il domani (Mt 6, 33-34). O Padre mirabile nei tuoi doni, San Giuseppe Allamano, anche nelle circostanze più difficili della vita, ha saputo sperare contro ogni speranza (cf. Rm 4,18) e ci raccomanda di “allargare il cuore ad una viva speranza, ad una super speranza, perché quando si spera poco, si fa torto a te” (cf. VS, 232), che sei bontà infinita. Seguendo il suo mirabile esempio, vogliamo manifestarti la nostra incrollabile fiducia nella tua paterna generosità e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… Convinti che tu vuoi “che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità”, (cf. 1Tm 2,4), ti imploriamo di mandare la luce dello Spirito, perché “ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore” (Fil 2, 11). Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – settimo giorno
7° giorno: dalla fede l’audacia nel chiedere “Se avrete fede e non dubiterete, […]anche se direte a questo monte: Levati di lì e gettati nel mare, ciò avverrà. E tutto quello che chiederete con fede nella preghiera, lo otterrete” ( Mt 21,21), O Padre attento alle domande dei tuoi figli, San Giuseppe Allamano, per ottenere da te un aiuto, ha sempre dimostrato una indomita perseveranza e ci insegna che “per ottenere le grazie, bisogna domandarle con grande fede, con quell’audacia e confidenza da fare miracoli” (Conf. MC, III, 314, 316), e ci incoraggia con queste mirabili parole: “Coraggio sempre, avanti nel Signore” (cf. Pietre vive, 88). Animati dal suo insegnamento, ci rivolgiamo a te, sicuri della tua amorosa cura verso di noi e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… A nome delle persone di buona volontà, ti supplichiamo di radunare dall’oriente e dall’occidente i tuoi figli e figlie dispersi e di farli sedere a mensa nel tuo Regno (Mt 8,11).. Per Cristo nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – sesto giorno
6° giorno: credo nella bontà del Signore “Se voi dunque che siete cattivisapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Mt 7,11). Padre buono, San Giuseppe Allamano ha constatato che la tua munificenza è sempre sovrabbondante e ci assicura che “a te piace tanto che crediamo alla tua bontà” (cf. VS, 232; Pietre vive, 44), sapendoci “sollevare a te, anche nelle più piccole cose, e confidare in te solo, qualunque sia il corso degli avvenimenti” (VS, 244). Certi della tua generosità, ci presentiamo a te che sei infinitamente buono e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… Ad imitazione del tuo Figlio che, pur essendo di natura divina, spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e si fece obbediente fino alla morte di croce (cf. Fil 2, 7-8), la Chiesa sappia impegnarsi sempre più in favore di quanti soffrono la povertà, la guerra e ogni sorta di ingiustizia. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – quinto giorno
5° giorno: nel Signore ho sperato “Cinque passeri non si vendono forse per due soldi?Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio.Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati.Non temete, voi valete più di molti passeri” (Lc 12,6-7) Padre sollecito del nostro bene, San Giuseppe Allamano non ha mai cessato di sperare nel tuo soccorso in ogni necessità e ci ha esortato a “fare sovente atti di confidenza nel tuo amore”(cf. Conf. IMC, III, 267), “senza scoraggiarci, anche se non otteniamo tutto” (cf. Conf. IMC, II, 339), o “se talora tu ci fai attendere, per provarci e ricordarci che siamo poveri (cf. VS, 243). Con questa convinzione nel cuore, ti esprimiamo la nostra perenne confidenza nel tuo cuore di Padre e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… Per quanti non ti conoscono ancora, ti preghiamo di sostenere gli annunciatori del Vangelo, perché il tuo santo nome sia conosciuto e invocato su tutta la terra (cf At 2, 21). Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – quarto giorno
4° giorno: fidiamoci di Dio senza timore “Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà […]. Chiedete ed otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16, 23-24). Padre fedele alle promesse, San Giuseppe Allamano si è sempre fidato di te, che sei premuroso verso le tue creature, e ci raccomanda di “mettere tutto nelle tue mani, senza timore, perché tu non lasci mai le opere a metà” (Conf. MC, I, 52) e non deludi le speranze che i tuoi figli ripongono in te. Animati da questa certezza e sicuri che tu non lasci inascoltate le nostre implorazioni, ci affidiamo totalmente a te e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di… In comunione con la Chiesa missionaria, ti preghiamo perché il tuo Figlio, che hai mandato perché il mondo si salvi (cf. Gv 3,17), sia riconosciuto da tutte le persone come il Buon Pastore e giunga presto il tempo in cui sulla terrà ci sarà un solo gregge e un solo pastore (cf. Gv 10, 16). Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – terzo giorno
3° giorno: speranza nella Provvidenza del Padre “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono; né ammassano nei granai;eppure il Padre vostro celeste li nutre.Non contate voi forse più di loro?” (Mt 6,26). Dio Padre provvidente, San Giuseppe Allamano, ogni giorno della sua vita, ha fatto concreta esperienza del tuo soccorso e ci assicura “che non speriamo mai troppo nella tua Provvidenza”(cf. Conf. IMC, II, 157, 339), perché “tu, che dai il cibo agli uccelli, ne darai certamente anche a noi con abbondanza” (cf. Conf. IMC, III, 188)”. Ci rivolgiamo a te nella certezza che sei sempre vicino e attento alle nostre necessità e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo con fiducia filiale la grazia di … In unione con tutti i battezzati, ti supplichiamo che la tua Chiesa si diffonda e cresca presso tutti i popoli e, come lievito nascosto, li trasformi con la forza del Vangelo (cf. Lc 13,20-21). Per Cristo Nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – secondo giorno
2° giorno: confidenza in Dio che vuole aiutarci “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.[…] Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno Ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6, 7-8). Dio nostro Padre, San Giuseppe Allamano ha compreso pienamente la tua paterna sollecitudine per tutti i tuoi figli e figlie e ci garantisce “che non resta mai confuso chi confida in te” ( cf. Conf. IMC, II, 157), perché “tu puoi, sai e vuoi aiutarci” (cf. Conf. IMC, II, 157; III, 267). Incoraggiati da queste parole, ci rivolgiamo con piena fiducia alla tua bontà senza limiti e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di … A nome di quanti credono in te, ti imploriamo di estendere il tuo Regno di amore e di pace in tutte le parti del mondo (cf. Mt, 24,14). Per Cristo Nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
Novena a San Giuseppe Allamano – primo giorno
1° giorno: fiducia illimitata nella bontà di Dio “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7, 7-8). Dio Padre buono, San Giuseppe Allamano, durante la sua vita, ha sperimentato il tuo amore misericordioso e ci incoraggia a pregare con grande fiducia, senza “paura di non ottenere quanto ti domandiamo” (cf. Conf. MC, I, 129), perché tu “tutto accordi a chi in te confida” (cf. Conf. IMC, I, 456; Conf. MC, III, 310). Con ferma speranza e filiale coraggio, ci rivolgiamo alla tua paterna benevolenza e, per intercessione del tuo fedel Servo, ti chiediamo la grazia di … Come figli della Chiesa, ti preghiamo di mandare numerosi operai nella tua vigna a portare la tua Parola di salvezza fino agli estremi confini della terra (cf. At 1,8). Per Cristo Nostro Signore. Amen. Padre Nostro, Ave Maria, Gloria al Padre. San Giuseppe Allamano, prega per noi PREGA LA NOVENA CON NOI: In FACEBOOK, in INSTAGRAM, in TELEGRAM, in YOUTUBE e in TIKTOK
RUT E NOEMI: DUE DONNE E IL PANE
Il libro di Rut è il racconto di una vita che ha per protagoniste principali due donne… e il pane che diventa l’elemento attorno al quale si snoda tutta la vicenda delle due donne e il futuro della generazione, fino a Davide, fino a Gesù. Il pane elemento essenziale per la vita e che in Gesù diventerà Pane di vita! Il testo, infatti, inizia con una carestia: è la mancanza di cibo che coinvolge Betlemme a portare Elimelech alla decisione di mettersi in viaggio, con la moglie Noemi e i due figli maschi, in cerca di condizioni migliori, verso un paese straniero: Moab. La ricerca del pane spinge Elimelech a portare la sua famiglia fuori dalla terra di Dio, verso la terra dei pagani, quando invece ogni israelita sa che è solo un’illusione pensare di poter trovare la felicità lontano dalla terra promessa. In quella terra straniera, dopo la morte di Elimelech, i due figli si sposano con due donne moabite: Orpa, e Rut. Ma non c’è gioia in terra straniera se si è lontani da Dio e anche Maclon e Chilion, dopo dieci anni muoiono, lasciando le loro mogli senza figli e la loro madre, sola. Nel colmo della sua sofferenza (1,6) Noemi decide di tornare nella terra dei Padri perché “il Signore aveva visitato il suo popolo, dandogli pane”. È ancora la ricerca del pane che spinge a mettersi in cammino, e anche se amareggiata e insicura su ciò che l’aspetta, Noemi ha la forza di additare un futuro alle proprie nuore: “Andate, tornate ciascuna alla casa di vostra madre” (1,8). Pur nel pianto, Orpa ascolta la suocera e torna indietro. Spesso Orpa è considerata colei che non ha coraggio ed abbandona, essa invece manifesta un altro tipo di amore: quello di chi si sente dire “vai” ed è capace di lasciare, di andare, pur nella sofferenza e nell’incertezza. Orpa è capace di guardare oltre, verso un futuro che le si prospetta nuovo, anche se nell’incertezza. Anche Gesù domanderà ai suoi discepoli fedeltà diverse, perché ad alcuni dirà “seguimi”, mentre ad altri comanderà di tornare a casa e di restare nelle loro quotidianità. Orpa, Rut e Noemi ci rivelano modi diversi di declinare l’amore e la fedeltà nella loro sapienza femminile. La risposta di Rut è diversa: sulla strada del ritorno Noemi non sarà sola perché una delle sue nuore ha scelto di camminare con lei. “Dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio” (1,16). Rut rischia sulla possibilità di scoprire la vera natura di quel Dio che Noemi percepisce come colui che si accanisce su di lei. Nella vita di ciascuno ci sono situazioni in cui si espone al pericolo di perdere la fiducia in Dio. Noemi come Giobbe, fa questa esperienza. La sua fede è ferita dalle sofferenze passate; la vita l’ha aggredita togliendole il marito e i due figli, e lasciandole il bruciore del dubbio sul coinvolgimento di Dio nel male subito. Noemi però non affronterà il suo futuro da sola. Rut, le rimane accanto, come una figlia, nonostante tutto, nonostante il lutto che avrebbe potuto spezzare il legame, nonostante ‘l’assenza’ di Dio, nonostante il fatto che se per Noemi quel viaggio è un ritorno, per lei è ‘un esodo’, un’uscita dalla sua terra, dal suo popolo – come già fu per Abramo e Sara – per entrare nella terra d’Israele. Il libro di Rut è stato scritto in un contesto che assomiglia al nostro: un’epoca di crisi in cui non appaiono né angeli, né visioni e non ci sono profeti ad aiutare nel discernere il cammino. C’è solo l’affiatamento che nasce fra due donne, un affetto che salva, che lenisce il dolore, fascia i cuori spezzati ed è balsamo per le ferite. Noemi e Rut arrivano a Betlemme “quando si cominciava a mietere l’orzo” (1,22), quando la messe è matura, e così Rut andò a spigolare e vi rimase “fino alla fine” (2,23) cioè circa tre mesi. Rut accetta la fatica, lo scorrere monotono e pesante del tempo; esercita con tenacia la sua volontà di rimanere, nello sforzo, fedele agli impegni e alle scelte, mentre il tempo che trascorre fa sì che le persone, le cose e le situazioni maturino. Rimane accanto a Noemi, condividendo con lei il cibo e la casa. L’esperienza di questa fedeltà che salva, permette a Noemi di desiderare per Rut la felicità di una nuova unione, di una nuova vita e a Rut di fidarsi dei consigli della suocera ed aprirsi a un futuro nuovo con Booz. Rut aveva scommesso sul Dio di Noemi: “il tuo Dio sarà il mio Dio”, un Dio che ha imparato a conoscere negli avvenimenti della sua vita, leggendo il suo ‘visitare il popolo’ nelle lunghe giornate di silenzio, piegata nello spigolare. Rimanendo ferma nella sua lealtà, ha sperimentato la fedeltà di Dio che accompagna nel riconoscere il Dio dell’abbondanza, il Dio della comunione e dello ‘stare accanto’, e il Dio della vita. Leggendo Deut. 4,18-22 si dice che Davide discende da Peres: Peres generò Chesron, Chesron generò Ram, Ram generò Amminadab, Amminadab generò Nacson, Nacson generò Salmon, Salmon generò Booz, Booz generò Obed da Rut la Mohabita, Obed generò Iesse e Iesse generò Davide da cui discende Gesù. Rut ha rotto il cerchio della legge del Deuteronomio, ha spezzato il giogo del precetto. Rut è entrata nella comunità del Signore, ha offerto a Noemi il pane guadagnato con la fatica e con il sudore, dopo aver fatto il suo ‘esodo’ e grazie al frutto del suo ventre, Israele avrà il re Davide e Gesù il Salvatore. Dio continua a visitare il suo popolo anche attraverso il volto, la vita, la tenacia e la fedeltà e di una donna straniera, basta avere il coraggio di tornare, di mettersi in cammino fino a Betlemme, la casa del pane. Rut aveva fatto del Dio di Noemi la sua dimora e Dio ha dimorato in lei e, attraverso di lei, nelle generazioni seguenti fino a incarnarsi per dimorare con l’umanità e
Comunicazione ed evangelizzazione: nuovi orizzonti e gli impegni di sempre
Cammino sul Lungotevere, dopo un’intensa giornata vissuta al Seminario Professionale per Comunicatori della Chiesa, promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce di Roma. Nel cuore risuonano tante idee e intuizioni ascoltate durante il giorno, così tante e ricche che il cuore sembra traboccare. Alzo lo sguardo all’orizzonte, ed ecco: un paesaggio che nessun artista potrebbe inventare, se non il nostro Creatore: il cielo del tramonto è colorato da infinite tonalità che vanno dal tenue giallo al blu profondo. Su questo sfondo magnifico si staglia in controluce la Basilica di San Pietro, con la sua cupola svettante, e più vicino Castel Sant’Angelo, illuminato da luci arancioni, gioca con l’acqua del fiume, creando forme morbide e cangianti sulla superficie del fiume. Bello, semplice e allo stesso complesso nella sua ricchezza. Proprio come il tema che abbiamo trattato nel Seminario, nei giorni che precedevano il Giubileo della Comunicazione. Condivido alcuni spunti che considero significativi per il mio cammino di comunicatrice e di missionaria. Ma parliamo di Dio? Fin dal primo intervento, realizzato da Mons. Fisichella, organizzatore degli eventi di Giubileo, è sorta una domanda: noi comunicatori parliamo di Dio? Questa domanda è stata rivolta a comunicatori della Chiesa Cattolica. La risposta sembra ovvia, ma non lo è: nel mondo secolarizzato parlare di Dio non è di moda, o comunque non è un trend tra i temi da trattare. Per avvicinarci al pubblico e ai suoi interessi, possiamo scivolare nello sbaglio di parlare del più e del meno, a seconda del tema in voga, e dimenticarci di essere credenti e praticanti. Secolarizziamo il nostro piano di contenuti. Ognuno farà il proprio esame di coscienza. Mi rimane nel cuore questa idea: quando parliamo di dialogo vero, non stiamo dicendo che dobbiamo tacere la nostra identità, i valori e la fede per rispetto all’altro. Piuttosto il dialogo consiste nel presentare chi sono, in cosa credo e allo stesso tempo accogliere con rispetto la condivisione dell’altro. Risveglio della spiritualità Un’altra idea ricorrente è stata la constatazione che c’è un risveglio della spiritualità, della sete e nostalgia di Dio. Ci sono studi che lo dimostrano, e basta girarsi attorno per capirlo. Le strade di questa ricerca e le mete che si raggiungono forse non coincidono con la nostra idea – piuttosto istituzionale – di Chiesa e di fede. Va da sé che davanti alla sete di Dio (che dal punto di vista di un’antropologia cristiana è caratteristica della creatura verso il proprio Creatore) noi possiamo offrire un bicchiere d’acqua oppure lasciare che la persona cerchi un altro pozzo. I nuovi mezzi di comunicazione legati al mondo digitale offrono spazi e strumenti per poter rispondere a questo bisogno profondo. Lo hanno dimostrato due impresari di alto livello che, spinti dal desiderio che altri potessero fare esperienza dell’incontro con Gesù, hanno inventato l’app Hallow, che spopola in tutto il mondo, e che offre materiali e strumenti per questa esperienza spirituale. Così è successo anche al fondatore dei gruppi Alpha, che portano persone lontane dalla fede a incontrare il Signore. Comunicazione ed evangelizzazione Guardo estasiata questo paesaggio meraviglioso che solo Roma può regalarmi. Dopo un attimo di contemplazione pura, prendo in mano il cellulare e scatto una, due foto. Arrivata a casa, metto la migliore come sfondo del desktop del mio portatile, per ricordarmi che le cose più belle hanno allo stesso tempo una ricchezza traboccante, una semplicità disarmante e un’armonia che non è opera umana. Un po’ come questa meravigliosa vocazione di essere missionaria e comunicatrice. Anche io ho sentito sempre forte il desiderio che gli altri potessero incontrare Gesù, e da questo incontro trovassero la gioia, la pace, il senso alla propria vita. Questo desiderio si concretizza proprio in un cammino di comunicazione che diventa evangelizzazione. Non tanto a parole, quanto con l’incontro e lo scambio sincero. Papa Francesco lo ha affermato con molta chiarezza nell’incontro con i Comunicatori in Aula Paolo VI, sabato 25 gennaio: ”Volevo soltanto dire una parola sulla comunicazione. Comunicare è uscire un po’ da sé stessi per dare del mio all’altro. E la comunicazione non solo è l’uscita, ma anche l’incontro con l’altro. Saper comunicare è una grande saggezza, una grande saggezza!” Buon cammino e buona missione a tutti i comunicatori e comunicatrici! Tra nuovi orizzonti e gli impegni di sempre… Suor Stefania, mc
Missionarie della Consolata: 115 anni di vita e missione
Il 29 gennaio è un giorno molto caro agli Istituti missionari della Consolata: nel 1900 il sacerdote torinese Giuseppe Allamano si trovava in condizioni gravissime, e guarì miracolosamente, promettendo obbedienza al suo Vescovo che gli aveva detto:”Fonderai tu l’Istituto missionario!”. L’anno dopo, alla stessa data, iniziava la sua vita l’Istituto Missioni Consolata. Il 29 gennaio 1910 veniva fondato, nel silenzio e quasi nel nascondimento, l’Istituto delle Suore Missionarie della Consolata: La notizia ufficiale venne data al pubblico senza rumore. Sul periodico La Consolata del mese di febbraio 1910, figurano poche righe, che non accennano ad una “fondazione” ma la lasciano supporre: “La Direzione della rivista riceve spesso domande di informazioni da persone che vorrebbero prendere parte come suore nelle missioni della Consolata. Avvertiamo che per questo si rivolgano alla Direzione Istituto Missionarie, corso Duca di Genova, 49 – Torino”. Tutto qui, secondo lo stile dell’Allamano! (dal libro “Un uomo per la missione”). “La Fondatrice è la Consolata!” San Giuseppe Allamano insisteva con una certa forza che la Fondatrice era la Madonna Consolata, e non lui. A noi piace pensare (e lo sentiamo) che abbiamo una Madre e un Padre, una Fondatrice e un Fondatore, come due sorgenti da cui sgorga il Carisma delle Missionarie della Consolata. Un Carisma di consolazione per la missione ad gentes Chiamate dallo Spirito Santo a partecipare al Carisma, dono di Dio a Padre Fondatore, offriamo la vita per sempre a Cristo, nella missione ad gentes, ossia ai non cristiani, per l’annuncio di salvezza e consolazione. Il Carisma qualifica la consacrazione, anima la spiritualità e si esprime attraverso ogni aspetto della vita personale e comunitaria. (Costituzioni, n.3) Dopo 115 anni, la ragione d’essere delle Missionarie della Consolata è sempre la medesima: il primo annuncio di salvezza e consolazione. Anche quando non si può parlare apertamente di Cristo. Perché l’annuncio si realizza con la vita, la carità e una vita intensa di preghiera e incontro con il Signore, che traspare anche nei gesti più semplici e ordinari. Ringraziamo Dio per il dono di questa famiglia religiosa missionaria e continuiamo a pregare, come nostra tradizione: Proteggi, o Padre, la tua Famiglia e mantieni in essa il tuo spirito!
Consolazione a doppia corsia. Missione in Alabama
Intervista a Suor Claudia Gavarini, missionaria della Consolata italiana, vive a Birmingham, in Alabama (Stati Uniti). In questo stato, segnato da una storia di segregazione razziale, le Missionarie della Consolata vivono la missione di consolazione da circa 50 anni.
Comunicare la speranza. Un’altra informazione è possibile
Una mostra per il Giubileo 2025 nell’atrio dell’Aula Paolo VI, iniziativa promossa dalla Società San Paolo e dalle Figlie di San Paolo, con il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione e del Dicastero per la Comunicazione. «Gli obiettivi del giornalismo sono due: proteggere la democrazia e aiutare le persone ad affrontare la quotidianità. Le inchieste sono importanti, ma anche la proposta di soluzioni a ciò che non funziona». Questa splendida frase che riassume in poche parole il senso del giornalismo, specie in tempi in cui il quotidiano è così funestato da terribili eventi in ogni latitudine, è il mantra di Styli Charalambous, co-fondatore del sudafricano Daily Maverick, una testata avviata nel 2009 da una start-up di cinque persone (oggi diventate più di cento), che sta avendo un grande successo. Ragionando su questi temi, nell’occasione dell’apertura dell’Anno Santo il cui motto recita “Pellegrini di speranza”, i giornalisti Francesco Antonioli e Gerolamo Fazzini, si sono interrogati su come il giornalismo, al di là della giusta denuncia, possa anche comunicare fiducia, attesa di un futuro migliore, e su cosa abbia da dire il Giubileo appena cominciato al mondo dei comunicatori e dei media. Da queste domande è nata l’idea della mostra “Comunicare la speranza. un’altra informazione è possibile”, un’iniziativa promossa dalla Società San Paolo e dalle Figlie di San Paolo con il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione e del Dicastero per la Comunicazione, e affidata per la realizzazione all’agenzia Mediacor, sotto la regia di Paolo Pellegrini e Simona Borello. La mostra verrà esposta per la prima volta nell’ingresso dell’Aula Nervi in Vaticano il 25 gennaio prossimo, in occasione del Giubileo del Mondo della Comunicazione. Una seconda copia sarà da subito esposta presso la Basilica di Santa Maria Regina degli Apostoli, centro significativo per gli Istituti della Società San Paolo e delle Figlie di San Paolo, per poi diventare itinerante nei mesi successivi (sarà anche possibile prenotarla per iniziative presso istituzioni, centri culturali, parrocchie e realtà associative). L’iniziativa vede anche il patrocinio di COPERCOM (Coordinamento delle Associazioni per la Comunicazione), FESMI (Federazione Stampa Missionaria Italiana), FISC (Federazioni Italiana Settimanali Cattolici), associazione METER, UCSI (Unione Cattolica Stampa Italiana) e WeCa (Associazione WebCattolici Italiani). In 24 agili pannelli presentati con una grafica accattivante, la mostra lancia agli operatori della comunicazione, sulla scorta degli inviti di Papa Francesco, un forte appello alla corresponsabilità. La mostra – fruibile in più lingue, tramite un apposito QRcode – chiede a ciascuno di ripensare al proprio ruolo a servizio della collettività, così da rinsaldare la dimensione civile della professione del comunicatore, a maggior ragione se si rifà ai valori cristiani. I pannelli sono pieni di dati, notizie, storie, statistiche aggiornate. Tra i molti spunti interessanti che emergono scorrendoli, c’è quanto segnala il Digital News Report, lo studio più autorevole sull’andamento dei media e dell’informazione condotto annualmente dal Reuters Institute for the Study of Journalism. L’edizione 2024 ci restituisce un panorama in profonda trasformazione in cui si delineano alcuni trend: la sensazione in molti utenti di un eccesso di informazione, difficile da gestire; l’insistenza sulle bad news da parte dei media e un problema di credibilità degli operatori dell’informazione. Il tutto provoca l’inquietante fenomeno noto come “news avoidance” l’allontanamento dall’informazione da parte di un segmento crescente di pubblico, un dato che presenta preoccupanti ripercussioni in ordine alla qualità della democrazia. La mostra cerca di far luce sui motivi di disaffezione del pubblico verso le news e nel contempo punta a evidenziare altri modelli possibili di comunicazione positiva. Dà voce ai tanti esempi di figure di giornalisti e giornaliste del lontano e vicino passato, noti o meno, che si sono distinti come testimoni credibili, a volte a prezzo della vita, per la loro passione per la verità e per la ricerca instancabile della giustizia – da Walter Tobagi a Ilaria Alpi, da James Foley a Maria Ressa– così come a esperienze e figure in grado di esaltare un giornalismo costruttivo. Comunicatori che, al di là di appartenenze, fedi, orientamenti e provenienze geografiche, sono capaci di diffondere speranza grazie a un giornalismo orientato alla ricerca di soluzioni, non solo concentrato sulla denuncia di ciò che non funziona. «Per partecipare pienamente alla celebrazione del Giubileo del Mondo della Comunicazione – afferma l’equipe di lavoro della Società San Paolo e delle Figlie di San Paolo – i nostri Istituti si sono uniti per realizzare alcune iniziative tra cui questa Mostra itinerante che intende mettere in evidenza l’attualità del tema del Giubileo – Pellegrini di Speranza –. È un nostro contributo per sottolineare l’importanza teologica e pratica della speranza nell’affrontare le crisi contemporanee. La Mostra itinerante cerca di dare risalto all’impegno di tanti che hanno vissuto i valori della professione giornalistica, anche a costo della vita, diventando agenti attivi di speranza, incarnando la misericordia e la giustizia nel loro importante servizio di informazione alla società e alimentandone la coscienza etica». Il percorso si conclude con la riscoperta della feconda eredità di don Giacomo Alberione e suor Tecla Merlo, fondatori e ispiratori profetici nel loro tempo, figure il cui messaggio merita di essere riletto e riproposto anche oggi. «L’impegno per una comunicazione di speranza – dichiarano i due giornalisti Francesco Antonioli e Gerolamo Fazzini autori dei testi – è una passione che supera il confine tra credenti e non credenti. È passione civica per la ricerca della verità, per la difesa convinta della democrazia: proprio per questo è un giornalismo in piedi, onesto, imparziale, capace di accompagnare al futuro perché in grado di distinguere con autorevolezza i fatti dai commenti. Con questa chiave di lettura abbiamo proposto alcuni testimoni del secolo scorso e del tempo presente che hanno provato a vivere e testimoniare questi valori». Le iniziative paoline del Giubileo continueranno a partire dal pomeriggio di sabato 25 gennaio alle ore 15.00 presso la Basilica di Santa Maria Regina degli Apostoli alla Montagnola, in uno dei panel ufficiali della giornata. Il convegno intitolato “Dalla competizione alla collaborazione: new media come vettori di speranza per i giovani in un mondo conflittuale”, si soffermerà in particolare sui nuovi media, sul loro futuro e sulla loro influenza nella società attuale. Moderati dal direttore di Famiglia Cristiana