Suor Noemi Del Valle, missionaria della Consolata argentina, dopo la formazione e gli studi a São Paolo, nel sud del Brasile, è stata destinata alla missione dell’ Amazzonia, dove condivide i cammini e la vita della gente in Roraima da 14 anni.

Suor Noemi, raccontaci qualcosa della tua missione in Roraima, nel nord del Brasile

Il mio invio missionario era per i popoli indigeni. Popoli indigeni della foresta, perché io vengo da un popolo originario andino: per me è stata un’esperienza molto ricca, convivere con una cultura diversa è una grande ricchezza, davvero. Con il popolo Yanomami sono stata 7 anni in Catrimani.  

L’equipe missionaria presente a Catrimani, formata da Missionari e Missionarie della Consolata, mi ha aiutata molto nell’ entrare in questa realtà: per esempio, con lo studio della lingua – che non ho imparato molto bene, ma mi difendevo!

E dopo l’inserimento nella realtà Yanomami, qual è stato il tuo servizio?

Ho cominciato a lavorare nell’ area educativa, aiutando nella formazione dei professori Yanomami: è un processo che le nostre Sorelle avevano iniziato già nel 2000. E’ un ambito complesso, soprattutto quando si parla di temi burocratici del Governo, ma era un desiderio degli stessi Yanomami che si potesse fare.

In cosa consisteva il progetto? Nel riconoscimento, da parte del Governo brasiliano, dell’ insegnamento realizzato nelle comunità indigene?

Esattamente. La formazione dei professori cominciò proprio dentro l’area indigena, con una ONG e la Diocesi di Roraima che si erano fatti carico dell’ ambito educativo, ma poi sorge la riflessione che il diritto all’ istruzione dovrebbe essere assicurato ad ogni cittadino brasiliano, compresi gli Yanomami della foresta, ed è per questo che si chiamò in causa il Governo. La formazione dei professori, il riconoscimento degli studi e un piccolo salario per i docenti locali, che serve loro per comprare attrezzi per la pesca e la coltivazione.

Poi ho accompagnato anche le donne Yanomami, insieme a Suor Mary Agnes, è stato un processo bello, vedere il protagonismo delle donne nelle problematiche e nelle decisioni…

Nella cultura Yanomami la donna ha un ruolo attivo in questi processi?

Quando ho iniziato, c’era già questo processo che portava a un ruolo più attivo delle donne nelle decisioni della comunità, perché è vero che nelle riunioni erano gli uomini che partecipavano e parlavano, ma di notte, nella maloca (casa comunitaria degli Yanomami) le donne parlavano con i loro mariti, aiutandoli nella riflessione. Ora le donne sono più presenti: già nel 2008 sono iniziati gli incontri delle donne, come una continuità all’ esperienza che le donne ebbero in altri eventi con popoli indigeni di Roraima: la Diocesi aiutava le donne affinché potessero partecipare alle iniziative del Consiglio Indigena di Roraima, e così decisero di avere questo tipo di incontri anche nell’ area Yanomami, discutendo situazioni che interessavano nel loro contesto.

Andavano in città per questi incontri con donne di altre etnie?

Andavano nelle comunità che a turno ospitavano. Adesso fanno gli incontri nell’ area Yanomami, scelgono un tema di attualità, per esempio l’ anno scorso era il “territorio”, in quanto la situazione brasiliana stava minacciando il diritto di poter vivere in pace e autonomia nel proprio territorio indigena. C’è stata infatti un’invasione massiva, con conseguente disastro ecologico e umano: si tratta di gruppi che vengono per l’estrazione illegale dei minerali, e sono gruppi armati. Si è creata una situazione di grande insicurezza, e così il personale dell’ assistenza medica che entrava periodicamente nell’ area indigena, non ha più voluto andare, lasciando così gli Yanomami abbandonati a sé stessi.

Infatti, ricordo che si era parlato parecchio nei mezzi di comunicazione dei problemi di salute degli Yanomami…

Il problema è complesso, va più in là del problema sanitario in sé: in casi di malattie gravi, gli Yanomami si spostano in città, dove c’è un ospedale per loro. Ma i parenti che li accompagnano, devono trovarsi un posto dove stare, anche per mesi. C’è una casa di “appoggio” che loro possono usare, ma lì dentro succedono cose non molto buone,  e c’è parecchia violenza. Nell’ ultimo anno, sono successi tanti casi di violenza, legati all’ alcolismo. Chi arriva è portato all’ abuso di alcol da altri indigeni che sono da tempo nella città…

Torniamo alla foresta, e al tuo lavoro nell’ educazione

Si chiama “Educazione della foresta”, perché si riferisce totalmente al contesto di vita del popolo Yanomami. Nei miei 7 anni di servizio, accompagnavo il processo burocratico, per la validità dei documenti di studio e di lavoro, e accompagnavo nella supervisione i professori delle varie comunità.

E’ un tipo di educazione che considera gli elementi propri della cultura e del contesto in cui vivono, ma anche elementi culturali della società maggioritaria del Paese. Non è facile entrare in questo tipo di formazione, e lo Stato non assiste sufficientemente il processo.

La formazione dei professori è nella foresta o in città?

Ultimamente si fa in città, e questo non sempre è positivo. Anche se l’anno scorso c’è stato un incontro nella missione di Catrimani, dove le comunità hanno stilato punti da presentare al Governo, sotto forma di lettera ufficiale. Con il nuovo Governo (del Presidente Lula, n.d.r.) c’è speranza di continuare il progetto che si chiama “Saperi indigeni”, e che ha l’obiettivo di sviluppare il materiale didattico necessario per i professori. Si è lavorato per 5 anni a livello linguistico, pedagogico su questo materiale.

Quali sono i principi di questo tipo di educazione?

Il bilinguismo, perciò lo studio in lingua Yanomami e portoghese; il recupero e valorizzazione della storia del popolo, e dell’ identità del popolo. E’ un processo lento, ma sta dando i suoi frutti.

Adesso sei in città…

A Boa Vista continuo ad aiutare, a livello logistico, l’equipe missionaria di Catrimani e i processi di formazione dei professori. In questi tempi di emergenza dell’ area Yanomami, sto accompagnando gli indigeni che vengono in città per problemi di salute: mamme, bambini… arrivano senza niente, perciò con un progetto della Diocesi di Roraima, aiutavo nell’assistenza, dando loro sapone, una coperta (soffrono tanto l’aria condizionata!) ma anche aiutando affinché l’assistenza medica sia fatta nella foresta.